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giovedì 20 dicembre 2012

Matrimonio e famiglia di fatto: distinguere per promuovere l'umano


La cosiddetta famiglia di fatto è un’unione o convivenza libera analoga a quella che intrattengono un uomo e una donna sposati, con la differenza che essi non hanno contratto matrimonio. Si sottolinea che questa è la sola differenza che “fa differenza”.

Ma davvero la non esistenza di un matrimonio come atto legale pubblico secondo un ordinamento giuridico vigente è ciò che marca la sola differenza? Dal punto di vista sociologico non è così.

Mancando l’istituzione, mancano i presupposti sia di orientamento soggettivo, che sono essenziali per la maturazione dell’identità personale, sia di attendibilità oggettiva, che rende organizzata e giusta una società. Le aspettative di ciò che può essere comune ai membri di una famiglia di fatto (dai beni materiali alle relazioni affettive) diventano vaghe e incerte. L’unione libera è tale perché essa non risponde alle aspettative istituzionali (delle istituzioni della società, come quelle politiche, amministrative, fiscali, educative, ecc).

Il diritto dovrebbe poter distinguere le varie forme e trattarle diversamente. Ma ciò implica un sistema giuridico che non sia basato sull’indifferenza o neutralità etica.

Bisogna qui fare un rilievo della massima importanza. Il dibattito pubblico, e anche quello degli studiosi, è inficiato da un equivoco di fondo: la confusione tra distinzione e discriminazione (tra forme familiari).

Dire che il diritto deve essere capace di differenziare le forme di convivenza, significa che il diritto deve poter distinguere la diversa natura delle relazioni intime e primarie, se familiari in senso proprio, oppure per analogia, o solamente per metafora. Dire che il diritto non deve discriminarle significa evitare che forme uguali vengano trattate in modo diseguale.

Lo scopo della distinzione (la differenziazione di ciò che è famiglia e ciò che non lo è) non è quello di penalizzare i conviventi o di negare i diritti umani alla singola persona, ma è invece quello di promuovere le diverse qualità e potenzialità di umanizzazione contenuta nelle diverse forme di relazioni familiari.

Gran parte dei problemi che riguardano il riconoscimento della famiglia di fatto nascono dalla confusione fra distinzione e discriminazione delle forme familiari. Coloro che propongono una legislazione favorevole alle famiglie di fatto e alle unioni civili o affettive confondono la distinzione tra famiglia legale basata sul matrimonio e famiglia di fatto con la discriminazione di quest’ultima. Spesso osservano ogni distinzione (per esempio, unioni etero e omo-sessuali) come una discriminazione, al limite come negazione di fondamentali diritti umani degli individui, là dove invece è della qualità delle relazioni che si sta trattando. In tal modo, il riconoscimento delle famiglie di fatto, legittimata in base a un principio di uguaglianza nella dignità umana, si trasforma in un effetto perverso: l’indifferenziazione delle relazioni sociali proprie della famiglia, e quindi la perdita secca del proprium di queste relazioni. “Il fatto sociale” di “stare assieme” viene equiparato a “un diritto” (norma) cosicchè l’ordinamento giuridico perde la sua essenziale funzione di mediaare tra i fatti e le norme.

L’evidenza empirica dice che, quando lo Stato sociale pone a carico della collettività degli obblighi che derivano dalla mancanza di reciprocità piena a livello delle relazioni interpersonali di coppia, finisce per favorire l’individualismo anziché la solidarietà sociale, e quindi mina le proprie stesse basi di integrazione sociale.

Occorre riconoscere che, anche quando non lo vuole, il diritto non è mai un semplice strumento di gestione sociale che ha la funzione di controllare in modo neutrale le richieste dei cittadini. Il diritto ha sempre una funzione istitutiva della relazione sociale, in quanto contribuisce al riconoscimento e alla realizzazione di processi di differenziazione o indifferenziazione nei confronti di fondamentali qualità antropologiche delle relazioni sociali che caratterizzano una società.



Parole di Pierpaolo Donati (sociologo) tratte da “Relazione familiare: la prospettiva sociologica” in Studi interdisciplinari sulla famiglia n.21, 2006, Milano, Vita e Pensiero

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