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"Dobbiamo inventare una nuova saggezza per una nuova era. E nel frattempo, se vogliamo fare qualcosa di buono, dobbiamo apparire eterodossi, problematici, pericolosi e disubbidienti a coloro che ci hanno preceduto".
JOHN MAYNARD KEYNES Essays in persuasion

"Non aver paura che la vita possa finire. Abbi invece paura che non possa cominciare mai davvero".
JOHN HENRY NEWMAN

venerdì 8 febbraio 2013

"Ci vuole tutta una stirpe per portare una madre che porta un bambino"


Marie Rose Moro ci ricorda con queste parole che nelle culture africane il bambino, straniero alla nascita, entra a far parte della comunità degli umani compresa la madre, attraverso un processo di umanizzazione (espressione che ricorre anche nelle loro lingue) che ha come protagonista il mondo sovrannaturale degli antenati.

L’imposizione del nome, che avviene in genere dopo sette giorni dalla nascita, prevede un rituale nel corso del quale si cerca di identificare quale antenato fa ritorno attraverso di lui, cercando così di capire il messaggio di cui il nuovo nato è portatore.

L’identificazione corretta dell’antenato e del messaggio consente di “separare” il neo-nato dall’universo sovra-umano e di introdurlo nella famiglia umana consentendo così la relazione con la madre.

Il bambino non è concepito in relazione simbiotica con la madre e il distacco non è dalla madre ma piuttosto dal mondo sovra-umano. Inoltre questo passaggio all’umano attraverso il rituale di nominazione e di separazione dal mondo degli antenati tocca non solo al bambino, ma a tutta la parentela, perché suppone che finché coloro che accolgono il neonato non hanno regolato i conti con la loro catena generazionale (nonni o antenati), il bambino non può svilupparsi armoniosamente e non riesce a inserirsi adeguatamente nella comunità degli uomini.

Ciò spinge e obbliga ogni membro della comunità, e in particolare i genitori e la parentela, a pensarsi entro una catena generazionale, a dialogare e interagire con essa liberandola da pesi e conflitti che vi gravano.

Un modo, questo, per promuovere riconoscimento e perdono.

Al contrario, nella cultura attuale del mondo occidentale, il figlio assai di frequente è “della coppia”, nel senso che da essa viene nominato senza riferimento alcuno alle famiglie di origine e agli antenati. Si scelgono i nomi alla moda o ci si affida a preferenze personali; la storia generazionale è così messa alle spalle.

Basta però che una crisi laceri la relazione di coppia genitoriale perché il rilievo delle famiglie di provenienza, materna e paterna, emerga anche in maniera virulenta come di frequente capita nei casi di divorzio.

Così ciò che è posto sullo sfondo della relazione continua a operare come una sorta di fiume carsico che all’improvviso fuoriesce.
 
Parole di Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli tratte da "Alla ricerca del famigliare", 2012, Milano, RaffaelloCortina