Marie Rose Moro ci ricorda con queste parole che
nelle culture africane il bambino, straniero alla nascita, entra a far parte
della comunità degli umani compresa la madre, attraverso un processo di
umanizzazione (espressione che ricorre anche nelle loro lingue) che ha come protagonista
il mondo sovrannaturale degli antenati.
L’imposizione del nome, che
avviene in genere dopo sette giorni dalla nascita, prevede un rituale nel corso
del quale si cerca di identificare quale antenato fa ritorno attraverso di lui,
cercando così di capire il messaggio di cui il nuovo nato è portatore.
L’identificazione corretta
dell’antenato e del messaggio consente di “separare” il neo-nato dall’universo
sovra-umano e di introdurlo nella famiglia umana consentendo così la relazione
con la madre.
Il bambino non è concepito in
relazione simbiotica con la madre e il distacco non è dalla madre ma piuttosto
dal mondo sovra-umano. Inoltre questo passaggio all’umano attraverso il rituale
di nominazione e di separazione dal mondo degli antenati tocca non solo al
bambino, ma a tutta la parentela, perché suppone che finché coloro che
accolgono il neonato non hanno regolato i conti con la loro catena
generazionale (nonni o antenati), il bambino non può svilupparsi armoniosamente
e non riesce a inserirsi adeguatamente nella comunità degli uomini.
Ciò spinge e obbliga ogni membro
della comunità, e in particolare i genitori e la parentela, a pensarsi entro
una catena generazionale, a dialogare e interagire con essa liberandola da pesi
e conflitti che vi gravano.
Un modo, questo, per promuovere
riconoscimento e perdono.
Al contrario, nella cultura
attuale del mondo occidentale, il figlio assai di frequente è “della coppia”,
nel senso che da essa viene nominato senza riferimento alcuno alle famiglie di
origine e agli antenati. Si scelgono i nomi alla moda o ci si affida a
preferenze personali; la storia generazionale è così messa alle spalle.
Basta però che una crisi laceri
la relazione di coppia genitoriale perché il rilievo delle famiglie di
provenienza, materna e paterna, emerga anche in maniera virulenta come di
frequente capita nei casi di divorzio.
Così ciò che è posto sullo sfondo
della relazione continua a operare come una sorta di fiume carsico che
all’improvviso fuoriesce.
Parole di Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli tratte da "Alla ricerca del famigliare", 2012, Milano, RaffaelloCortina
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